A Ilaria
Era il duemilanove
e uno sciame già ci stava
che in Abruzzo imperversava
impaurendo in ogni dove.
Pria del sisma qualche giorno
che d’aprile il sei colpì,
un gruppetto si riunì
ad un tavol tutto attorno.
Che da “esperti” era formato
della nota commissione
che l’esame ha per missione
d’ogni rischio rilevato.
Alla fin della riunione
il gran capo dichiarò
che tranquilli star si può
e ciò fe’ in televisione.
Disse poi che una bottiglia
di buon vino er’ consigliata
(forse assieme a una mangiata)
da scolarsi lì in famiglia.
Niun degli altri dichiarò
che quel dire er’ scriteriato,
che altrimenti era stimato,
che predire non si può.
Ma che esperti sono quelli,
se poi zitti se ne stanno
e null’altra cosa fanno
che incassare i lor balzelli!
Fu così che fu creduto
quel messaggio dalla gente
quel messaggio assai demente,
come è ahimè ben risaputo.
Ritornaron nelle case
tutti quanti sollevati,
per finir molti ammazzati
quando il sisma poi le rase.
Pure a Ilaria ciò successe,
dell’amica mia figliola,
che credette a quella fola
ch’essa al vero rispondesse.
La sua tesi per finire
da Lanciano ritornò,
ma la casa sua crollò
e la vide lì perire.
La sua mamma acconsentì
perché a L’Aquila portato
avea pure il fidanzato,
che però con lei morì.
Ma giustizia non ha più
chi morì così assai male:
senza il numero legale
la riunione non ci fu!
Ciò asserì la Cassazione
alla faccia di quei morti,
strafottendosi dei torti:
ciò del ver fu negazione.